Valorizzare le risorse collettive e il protagonismo sociale: una proposta per realizzare una mostra ed un convegno su Roma
In questo periodo di pandemia, ci siamo in parte resi conto come la natura abbia ripreso il sopravvento, soprattutto a causa del fatto che non ne abbiamo avuto cura a sufficienza. Da troppo tempo è cambiato l’equilibrio tra uomo e natura.
Basti pensare a livello dell’inquinamento, del cielo, della terra e delle acque e a quante sostanze tossiche sono presenti nella terra.
Cosa accadrebbe se il livello delle acque crescesse di decine di centimetri, ci sarebbe più caldo estremo e milioni di persone sarebbero sfollate. Le emigrazioni crescerebbero sensibilmente. Fame e desertificazione causerebbero migrazioni incontrollate. Molte specie animali scomparirebbero e si registrerebbero gravissimi danni a flora e fauna.
S’impone con urgenza un nuovo sviluppo sociale ed economico. Questa pandemia deve essere un monito; non possiamo restare indifferenti. Rimettere al centro i diritti delle persone, sapendo che una delle cure essenziali è la solidarietà, non lasciare soli i più deboli, i più fragili.
Oggi siamo in guerra contro un nemico invisibile, con il paradosso che non è un altro a spargerlo, bensì noi stessi. È in questo quadro che nasce l’idea di tentare di presentare progetti per lo sviluppo di una città sostenibile. Molti libri e interventi al riguardo sono stati prodotti in questi ultimi anni. Il nostro vuole essere un tentativo diverso dagli altri poiché vuole raccogliere tutto il lavoro che è stato prodotto dal basso. Formuliamo questa proposta perché in questa fase più di ieri oltre ai partiti bisogna porre attenzione ai movimenti spontanei. La politica deve raccogliere queste voci, deve portarle a sintesi e tradurle in norme positive e operative.
Le riforme e le decisioni verticistiche non hanno futuro.
Noi, dal basso, vogliamo partecipare al governo locale, forti della comune esperienza, delle tensioni, delle speranze e dei sogni che vi si condensano. Solo così può rinascere la politica e ritrovare il filo di governo di questa città. A partire dal lavoro svolto dall’Associazione RomAgricola, il cui progetto risiede nel valorizzare e nel recuperare l’agricoltura cittadina e periurbana, assumendo la centralità strategica, poiché in grado di integrare aspetti molteplici: difesa del suolo e dell’ambiente, vivibilità urbana, qualità alimentare, creazione di lavoro qualificato, solidarietà e integrazione sociale, accoglienza degli immigrati, educazione ambientale, sperimentazione e innovazione. Insomma creare delle moderne abbazie.
L’agricoltura, infatti, rappresenta una straordinaria risorsa territoriale di cui fortunatamente dispone la nostra città, nonostante anni di feroce speculazione edilizia e fondiaria ne abbiano appannato l’evidenza.
Essa per le sue effettive potenzialità, unite a una straordinaria consistenza di aree verdi pubbliche, a nostra disposizione, fa sì che Roma risulti, a tutti gli effetti, capitale europea dell’agricoltura e del verde.
Abbiamo individuato un’altra serie di temi fondamentali su cui molte realtà associative e cittadini, lavorano in modo appassionato e competente da svariati anni.
- Progetto RomAgricola: le aree agricole, i parchi, le strutture abbandonate, i casali della campagna romana.
- Progetto Città dei Bambini.
- Progetto Gabinetti e Bagni Pubblici.
- Progetto Servizio Civile.
- Progetto Scuola e dispersione scolastica.
- Progetto Stalker.
- Progetto Ruolo dei migranti.
- Progetto Disuguaglianze.
- Progetti Orti Urbani
- Progetto Nuove Tecnologie
1. Progetto RomAgricola
Il nostro progetto assume l’agricoltura periurbana come punto di riferimento per uno sviluppo di Roma in grado di integrare aspetti diversi, dai temi della vivibilità territoriale e ambientale, alla qualità della vita, alla creazione di lavoro dignitoso, alla solidarietà sociale, all’accoglienza e all’integrazione degli immigrati.
Questa scelta è fondata su un dato di fatto: Roma è il più grande comune agricolo d’Italia (EUROPA?) per estensione e produzioni, le cui potenzialità, se opportunamente valorizzate, possono costituire un importante volano di un più generale sviluppo economico e occupazionale di tutta la Città, nonché una formidabile opportunità di messa in sicurezza alimentare della sua popolazione e di difesa del territorio. La valorizzazione dell’agricoltura periurbana di Roma infatti può favorire uno sviluppo del territorio urbano utile a ripensare e riqualificare l’intera struttura insediativa della Città.
In tale prospettiva, è opportuno ricordare che l’agricoltura periurbana è incentrata su due aspetti tra loro organicamente connessi e reciprocamente funzionali. Il primo coincide col fatto che il rilancio e la valorizzazione dell’agricoltura periurbana di Roma hanno in se stessi un grande valore, per quanto riguarda l’occupazione, i servizi ecosistemici, la produzione di cibo di qualità, la ricostruzione di un rapporto tra aree urbane ed ambiti agricoli, la riscoperta dei valori culturali connessi ai cicli naturali. Il secondo aspetto riguarda le modalità di attuazione e sviluppo dell’agricoltura periurbana di Roma, funzionali a un modello di economia territoriale “sostenibile e integrata”, che possono diventare un importante punto di aggancio per riqualificare l’economia della Città oggi in difficoltà, anche perché affidata a uno spontaneismo mercantile privo di progettualità e di visione.
Per queste ragioni l’agricoltura periurbana rappresenta un obbiettivo immediatamente prioritario e collegato al tema ambientale, grazie alla sua capacità di armonizzare lo sviluppo sociale ed economico ai cicli naturali. Non vi può essere infatti giustizia ambientale senza giustizia sociale. Entrambe concorrono ad attuare una radicale revisione del modello di sviluppo impegnata a contrastare il cambiamento climatico. Questa è l’unica strada in grado di salvare la Terra e che può essere percorsa solo perseguendo concretamente i seguenti obiettivi prioritari: difesa dei beni pubblici, a partire dall’acqua e dalla città; messa in sicurezza del territorio e valorizzazione del patrimonio culturale, anche attraverso un serio ed adeguato investimento pubblico; moratoria di tutte le grandi opere e consumo di suolo zero; un piano pubblico di riconversione ecologica della produzione e del consumo incentrato sull’efficienza energetica e sul recupero dei materiali di scarto. In questa prospettiva l’agricoltura periurbana svolge un ruolo centrale.
Le prospettive indicate costituiscono un riferimento e una premessa indispensabili per affrontare gli odierni problemi di Roma, maturati nel tempo, e che per alcuni versi si sono “incancreniti”, reclamando ormai una radicale inversione nelle politiche pubbliche. La disastrosa condizione in cui versa la nostra città è determinata, tra le altre, dalla somma di due cause. La prima, più antica e profonda, è la dissennata politica urbanistica, che si prolunga da decenni e che ha provocato una crescita abnorme del territorio urbanizzato anche in assenza di incremento demografico. La seconda, relativamente più recente, è la sbalorditiva incapacità di avere cura della Città: dallo smaltimento dei rifiuti, alla manutenzione delle strade, del verde pubblico, delle alberature stradali, fino alla drammatica crisi e alla pessima gestione dei trasporti e dell’edilizia pubblica nonchè dei servizi sociali.
Il ruolo dell’agricoltura periurbana oggi a Roma.
Nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile e integrato a partire dalle potenzialità dell’agricoltura periurbana, Roma ha alcune peculiarità che devono essere riconosciute e analizzate sotto una nuova luce. Accanto alla morfologia del suolo e alla sua frammentata urbanizzazione così caratterizzanti l’Agro Romano e tutto il territorio comunale, si deve riconoscere l’esistenza di un’importante ed estesa parte di proprietà pubblica di suolo agricolo. I numeri, in termini di estensione, sono piuttosto significativi (anche se vanno verificati) e vengono qui riproposti suddivisi tra le aziende agricole e le aree che sono state oggetto delle compensazioni urbanistiche.
Secondo i dati della carta della città pubblica, risultano di proprietà comunale:
- 459 ha, derivanti dalle compensazioni (comprendono Borghetto San Carlo, Tor Marancia, Trullo, ecc.);
- 439 ha, classificati come “tenute agricole/terreni a uso agricolo” (188 appezzamenti).
A questi vanno sommati i terreni delle due aziende agricole comunali (conteggiati a parte, nella carta della città pubblica e – forse per errore – attribuiti in proprietà alla Regione Lazio):
- Tor San Giovanni (450 ha) e Tenuta del Cavaliere (140 ha);
- Castel di Guido (2.400 ha).
Sul sito comunale i terreni effettivamente gestiti dalle due aziende risultano di superficie inferiore (rispettivamente 330 ha e 2.000 ha).
Infine, ci sono altri 2.367 ha di proprietà di enti locali che nella carta della città pubblica sono classificati come afferenti a “tenute” (Caffarella, Malnome, Cecanibbio, Malagrotta, Palidoro, Casal del Marmo).
Terreni e occupati nelle proprietà comunali principali
Terreni | Estensione (ha) | Occupati | |
1. | Tor Marancio | 60 | 12 |
2. | Tor Bella Monaca | 30 | 8 |
3. | Montecucco | 40 | 6 |
4. | Borghetto | 40 | 10 |
5. | Tor di Nona | 20 | 5 |
6. | Laurentino Acqua Acetosa | 60 | 5 |
7. | Nuova Fiera di Roma | 20 | 5 |
8. | Casal Bianco Guidonia | 100 | 15 |
9. | Via Risaro (Tor de’ Cenci) | 20 | 8 |
10. | Castel di Guido | 2.200 | 100 |
11. | Tenuta del Cavaliere | 300 | 20 |
12. | Marcigliana (Castumellum) | 80 | |
13. | Mistica | 50 | 20 |
14. | Monte della Caccia | 20 | 5 |
15. | Tenuta Redicicoli (Porta di Roma) | 37 | 5 |
Totali | 3.077 | 224 | |
Occupati indiretti per fornitura di servizi | 100 |
Bisogna poi considerare la Tenuta Vaselli (200 ha), collocata vicino all’autostrada del Sole, oggetto di una vicenda assai complicata (nel 1978 il Comune ha pagato 50 milioni di penale), nonché le proprietà Lenzini in zona Cassia (negli anni ’70 il Casale è tornato al proprietario).
Per Roma che cambia
A quanto già scritto, occorre infine ribadire che l’agricoltura periurbana svolge un ruolo determinante anche in riferimento a due aspetti centrali per il governo della città: la pianificazione e il tema ambientale. Ruolo peraltro confermato ormai da una lunga storia.
Con l’occupazione delle terre del 2 luglio 1977 la Cooperativa Agricoltura Nuova aveva recuperato alla produzione agricola le tre “decime”, in zona Castel di Decima, riaffermando così che non bisognava sviluppare la città verso il mare, che non si doveva creare una testa di ponte con la 167 per un’ulteriore sacco di Roma, ma bisognava ritornare al progetto di sviluppo equilibrato previsto dal piano regolatore. L’allora assessore all’agricoltura del Comune di Roma Olivio Mancini e il Sindaco di Roma Carlo Argan ben compresero questa iniziativa, ma forti e grandi erano le resistenze all’interno del sistema. L’allora sindaco Argan però volle fare un gesto forte promuovendo la prima e unica conferenza sull’agricoltura del Comune di Roma proprio presso le sedi della coop. Agricoltura Nuova, occupata abusivamente. In quella sede nel 1978 affermò:
“Il recupero delle risorse agricole nella campagna romana, non è solo un fatto economico ma anche culturale, i problemi della città non possono essere scissi dal vasto territorio che la circonda. L’agricoltura non ha solo un valore di centralità per la ripresa economica del paese, per il risanamento dei nostri debiti, appalesa anche una centralità per porre una barriera alla devastazione del territorio e alla salvaguardia dell’ambiente, il lavoro dei campi è fonte preziosa dell’occupazione e riscoperta di valori umani produttivi e di cultura.”
Queste considerazioni erano destinate a rivelarsi più che mai profetiche. Esse infatti delineavano la visione generale della città metropolitana in cui si dovevano inserire i progetti riguardanti l’agricoltura, l’ambiente, il territorio. E anche oggi questi sono i temi che devono tornare al centro del dibattito tra le forze politiche-sociali e le istituzioni, se effettivamente si vogliono realizzare politiche in grado di coniugare sviluppo tecno-scientifico e modelli di vita basati sulla fruizione rispettosa delle risorse naturali. Sono proprio le intercomunicazioni esistenti tra ambiente e sviluppo economico che rendono necessaria una pianificazione e una gestione del territorio che, ponendo fine a ogni abuso e speculazione, ne consentano una fruizione collettiva orientata a migliorare la qualità della vita, le relazioni sociali, l’occupazione.
In questo quadro di strategie politiche incentrate sui temi ambientali, abbiamo la necessità di coinvolgere le generazioni più giovani per realizzare nuovi sbocchi occupazionali e sviluppare idee innovative in grado di individuare le vie più adeguate di uno sviluppo sostenibile e integrato.
Obiettivi
L’indirizzo generale nel quale occorre inquadrare i singoli obietti è il seguente: perseguire la puntuale valorizzazione dei vuoti urbani, delle caratteristiche e delle potenzialità ambientali anche a servizio dell’abitare (a cominciare dai parchi verdi attrezzati), del carattere polifunzionale delle attività agricole, del patrimonio culturale a partire dai parchi archeologici.
In particolare occorre:
- definire un progetto che diventi riferimento di conoscenze e di azioni per la valorizzazione della terra come bene comune;
- coinvolgere gli enti di ricerca e egli enti di sviluppo agricolo (a partire dall’ARSIAL), nonché tutte le forze sociali, economiche e culturali, a cominciare dagli abitanti dei territori;
- predisporre un progetto polifunzionale per il recupero e la valorizzazione del patrimonio e delle risorse pubbliche abbandonate o mal coltivate;
- sviluppare una politica profondamente integrata con i temi ambientali, a partire dallo sviluppo dei collegamenti con le aree naturali e i parchi già esistenti, dal riciclo e dalla riduzione dei rifiuti, fino al risparmio energetico, alla corretta gestione dell’acqua, ecc.;
- recupero delle zone di periferia già compromesse da fenomeni di degrado.
Un progetto che ruoti intorno a queste direttrici prioritarie è certamente in grado di unificare concretamente il trinomio, ormai inscindibile, costituito da agricoltura, ambiente e sostenibilità del territorio.
I punti di forza dell’agricoltura periurbana e i criteri di riferimento di una proposta.
I punti di forza su cui è possibile basare la valorizzazione dell’agricoltura periurbana a Roma e il ripensamento del modello di sviluppo in relazione ai cicli naturali e alle pressanti emergenze ambientali, sono:
- consumo di suolo zero. E’ il fondamento di ogni politica interessata a ripensare lo sviluppo insediativo (per i problemi ben noti su cui non stiamo a dilungarci);
- centralità del lavoro. Che significa molte cose: prima di tutto produzione di reddito (come lotta alla povertà crescente nella città), poi qualificazione del lavoro ovvero del contributo che le persone danno, ed infine e soprattutto ripensare il “modello di sviluppo”, l’economia della città (“di cosa deve vivere la città”), spesso troppo schiacciato su attività economiche “avventizie”, ossia incapaci di diventare propulsive e innovative poiché consumano risorse senza rigenerarle;
- sostenibilità economica ed economia circolare. Quale stimolo a ripensare il “modello di sviluppo” della Capitale, termine che può non piacere, ma che intende affrontare il nodo problematico per cui la città è bloccata, schiacciata tra le attività economiche speculative e “avventizie” (che non la rilanciano) e l’esaurimento (oltre che appiattimento) delle tradizionali attività che non costituiscono più un motore per la città (pensiamo al grande apparato dei servizi pubblici e dell’amministrazione);
- lavorare per cicli. In questo caso si tratta del ciclo di rifiuti (pensiamo al ciclo dell’umido, per esempio) e del ciclo dell’acqua in primis, ma anche – fattore sempre più centrale – del ciclo del cibo. Il che significa anche ricostruire un rapporto tra consumatori e produttori e ridare senso a quell’agro romano che storicamente ha assicurato l’alimentazione alla Capitale. Il che significa anche disponibilità di prodotti “a km zero”, come già avviene per quelle aziende che hanno intrapreso questa strada;
- integrazione con i cicli naturali e la funzionalità ecologica. Contro la frammentazione del sistema insediativo e per l’integrità dell’agro romano;
- qualità dei prodotti. Che, in generale, significa fare leva sulla qualità e sulle specificità come motore per la città (e le cose che può offrire la città sono veramente tante);
- polifunzionalità. Oltre la produzione di qualità e la funzionalità ecologica di cui sopra, bisogna considerare anche i servizi che possono essere svolti (e che già sono svolti in molte esperienze): servizi ecosistemici (la depurazione, ecc.), fruizione del tempo libero, attività sportive all’aria aperta e benessere, attività culturali e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, ecc. Ad esempio, anche nei rapporti con le scuole;
2. Progetto Città dei Bambini
Il progetto nasce a Fano nel 1991 come critica alla città moderna che ha assunto come parametro di sviluppo un cittadino maschio, adulto, lavoratore, diventando inadatta e ostile per la maggioranza dei suoi abitanti. La proposta è quella di cambiare il parametro e assumere il bambino come riferimento per valutare e cambiare la città. Non è quindi un progetto educativo, ma squisitamente politico, messo nelle mani del sindaco perché un cambiamento reale della città richiede il coinvolgimento di tutte le competenze politiche e amministrative.
La strategia proposta dal progetto è la partecipazione dei bambini al governo e alla vita della città.
I bambini partecipano al governo della città offrendo all’Amministrazione le loro idee, proposte e proteste attraverso il Consiglio delle bambine e dei bambini, in rispetto dell’art. 12 della Convenzione dei diritti dell’Infanzia.
I bambini partecipano alla vita della città con la loro presenza fisica negli spazi pubblici della città per vivere, con sufficiente autonomia e libertà, il loro diritto all’esplorazione, avventura e gioco in un tempo libero dai compiti, dai troppi impegni pomeridiani e dal controllo diretto degli adulti, come promesso dall’art. 31 della Convenzione.
Oggi il progetto ha una dimensione internazionale e coinvolge più di 200 città in Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Francia, Italia, Libano, Messico, Perù, Portogallo, Repubblica Dominicana, Spagna, Svizzera, Uruguay.
Al progetto aderisce il sindaco e conferma l’adesione il Consiglio comunale.
3. Progetto Gabinetti e Bagni pubblici
Nella nostra città oltre ai residenti, gravitano circa 22 milioni di turisti all’anno e, secondo una media stimata (fra Istat, Sant’Egidio e Ministero degli Interni) più di 9mila persone vivono in strada. Per mancanza di dati certi, non è però quantificabile il numero dei bambini che quotidianamente, sia nei parchi, sia in altri spazi urbani, hanno necessità di usufruire del bagno pubblico. Tutti, ogni giorno, concorrono alla composizione di un nutrito stuolo di potenziali utenti di gabinetti pubblici.
Da tale spunto sarebbe possibile avviare azioni che interessano, non solo la gestione di un bene indisponibile, compreso nelle liste del patrimonio capitolino, ma anche una pianificazione di città a misura più umana e la creazione di una nuova economia che preveda il riciclo degli scarti organici. E mentre Roma Capitale, solo in tempi recentissimi e solo per le zone centrali, si è dotata di 11 impianti a pagamento, da vari anni alcuni gruppi di lavoro, sotto l’egidia dell’Aps “Embrice 2030” e dell’Associazione “Carte in Regola”, hanno elaborato e prodotto proposte che sono state oggetto anche di pubblicazioni.
4. Servizio Civile
Molti giovani manifestano oggi sempre più un disagio che si evidenzia anche in forme di bullismo, di abbandono della scuola, di assenza di senso civico e persino di autodistruzione.
Di contro ci sono i comportamenti positivi di tanti giovani impegnati. Un esempio concreto è l’esperienza fatta con il programma di studi europeo “Erasmus” che, trasferendoli per vari mesi fuori dai loro ambienti abituali, produce in loro lampanti cambiamenti in positivo.
Proviamo ora a crederci, ossia a prendere per vero che per i giovani, il totale distacco temporaneo dal proprio habitat, possa essere un successivo esame di maturità; proviamo a immaginare che, per alcuni mesi, i giovani siano impegnati in attività di utilità sociale a loro scelta; proviamo a immaginare che al contempo seguano anche una breve formazione sui principi della costituzione e/o riescano ad apprendere le basi per la gestione delle emergenze; proviamo a immaginare i giovani del Nord operare al Sud e viceversa; proviamo a immaginare il Servizio Civile non volontario, bensì obbligatorio, con l’opzione tra Italia e un paese dell’Europa; proviamo a immaginare che siano coinvolti per l’inserimento civile dei migranti, così da risvegliare il senso di reciproca partecipazione alle comunità di accoglienza; proviamo a immaginare corsi intensivi per l’apprendimento della lingua straniera locale; infine consideriamo i benefici che godrebbero i giovani innanzitutto e anche le comunità.
Il Servizio Civile Nazionale obbligatorio ed Europeo marcherebbe un segnale, un cambio di passo per allargare le prospettive con un esercizio concreto di reciprocità, tra diritti e doveri, per tutti i giovani, anche i più bisognosi, necessario più che mai per le inedite responsabilità del presente e del futuro.
5. Progetto Scuola e dispersione scolastica
Da anni ormai si registra una crisi della scuola pubblica. C’è una vera e propria fuga. Da un lato c’è chi rifiuta la scuola, perché la considera inadeguata sotto il profilo didattico e educativo, e prospetta quale alternativa l’educazione parentale, come proposta di una pratica formativa e didattica familiare, più creativa e viva, appunto l’educazione in ambiente naturale. Dall’altro lato ci sono persone che non condividono i valori e i modelli culturali. È il caso dei sostenitori delle scuole private cattoliche.
C’è infine una fuga dalla scuola più silenziosa, meno visibile e tuttavia molto più grave. È la fuga, non nuova e mai contrastata, di coloro che la scuola l’abbandonano non perché hanno compiuto una scelta alternativa ma semplicemente perché non sentono la scuola come istituzione significativa. È’ la fuga dei tanti che abbandonano prima di aver conseguito un titolo di studio e di aver acquisito una cultura che li metta in grado di essere cittadini di una società complessa. Come al tempo di Don Milani, questi sono per lo più i figli dei poveri.
6. Progetto Stalker
Stalker è un’esperienza e una pratica collettiva per un’azione di formazione e trasformazione territoriale che, su territori urbani di margine e con le realtà sociali che li abitano, tende a svilupparne la comprensione, la cura e il riconoscimento. Stalker propone una modalità conviviale e orizzontale di collaborazione creativa e di formazione reciproca con le realtà sociali e ambientali con cui lavora.
7. Progetto ruolo dei migranti
Siamo preoccupati per i migranti: sono oggi quelli che noi un tempo siamo stati.
Come possiamo ignorare i problemi degli immigrati, a partire dall’alloggio per finire all’istruzione. I giudizi che la città riversa su questa questione, alimentati da alcune forze politiche e dall’assenza di una politica seria di sostegno, sono dettati da una vera e propria xenofobia. Questo ci fa soffrire, ci indigna, ci preoccupa per le tensioni che si possono creare. La violenza subita in silenzio oggi è propedeutica alla violenza domani. Il governo della città deve tenere ben presente che la questione migranti, insieme al clima è una delle più grandi sfide che il nostro tempo è chiamato a rispondere. Se isoliamo i problemi dei migranti dalla generale condizione dei poveri e per loro mettiamo allo studio soluzioni tampone, rischiamo la guerra tra poveri. Esiste una sola, unica questione, quella culturale, sociale e economica dei popoli. La politica nasce dalla consapevolezza di questo legame che se viene meno si manifestano subito i particolarismi e la città si frantuma.
8. Progetto Disuguaglianze
(in fase di elaborazione)
9. Progetti Orti Urbani
Sono più di 200 le esperienze di orti urbani e giardini condivisi sparsi sul territorio di Roma, sia in periferia che in quella che viene definita la città storica . Si tratta per lo più di aree verdi che erano state marginalizzate, incolte o abbandonate al degrado. Spesso la pulizia di questi spazi rappresentava un onere consistente per le amministrazioni pubbliche. Oggi il recupero a orto coltivato, con aree comuni usufruibili dalla cittadinanza, da parte di associazioni e cittadini rappresenta un presidio democratico e l’occasione per costruire nuove comunità sociali in risposta alla disgregazione sociale e alla solitudine delle grandi metropoli. Inoltre queste esperienze consentono di sperimentare l’autoproduzione di cibo biologico e di incrementare ecosistemi urbani incrementando le biodiversità in contrasto al cambiamento climatico.
10. Progetto nuove tecnologie
In che misura le nuove tecnologie possono rendere la città più vivibile? Quali sono le esperienze già svolte dalle imprese erogatrici di servizi pubblici e dalle imprese private? E soprattutto, in che misura questi servizi online possono effettivamente essere migliorati?
Richiedere alle imprese di presentare i loro progetti è senz’altro un primo piano, ma rischia di essere insufficiente se non avviene in un contradditorio effettivo con gli utenti finali, che spesso hanno difficoltà di accesso. In questo ambito, si riscontra ancora una troppo significativa differenza tra i servizi offerti dal settore privato e quello offerti dal settore pubblico. Molti servizi locali forniti dai privati – car-shering, bike-scering, mono-apttini – sono riusciti ad acquisire una propria fisionomia e florida crescita, che invece non c’è stata nel settore pubblico, anche quando hanno agito come regolatori oltre che come fornitori di servizi. La mostra intende mettere a confronto le esperienze tra erogatori si servizi ed utenti.
ALCUNE TAPPE FONDAMENTALI
La mostra sarà integrata dall’illustrazione di alcune tappe fondamentali nell’evoluzione della città, sia per quanto riguarda una presa di coscienza solidaristica dei problemi di Roma, sia per quanto riguarda momenti in cui la politica è stata più capace di entrare in contatto con i problemi degli abitanti.
Questa parte del progetto vuol partire dal presentare esempi di amministrazioni lungimiranti e capaci e da alcuni progetti significativi che ci sono stati nella nostra città.
1. Amministrazione Nathan
Il sindaco Nathan si era impegnato ai primi del ‘900 per l’allargamento della cultura dicendo che nella Roma del passato le chiese non erano mai abbastanza, laddove nella Roma dei suoi tempi le chiese soprabbondavano ed era invece necessario moltiplicare le scuole. Era il sindaco che aveva previsto nel piano regolatore molte case popolari. Era il sindaco che aveva fatto esporre le bandiere al lutto in tutta la città per la morte di un “pontarolo”. Era il sindaco che ha realizzato le aziende pubbliche dell’energia, dei trasporti, la Centrale del Latte, il Mattatoio, l’Acquario e i Mercati Generali.
2. Progetto SDO
Nel 1962 era stato approvato un piano regolatore, contenente un’idea stupenda, risolutiva, semplicissima; un’asse attrezzato teso a recuperare e sostanziare il settore orientale della città, connesso con l’autostrada del Sole al Nord e a Sud, arteria dei nuovi centri direzionali di Pietralata e Centocelle, raccordata al bubbone fascista dell’Eur che veniva così risucchiato in un sistema organico.
Questo disegno salvava il nucleo storico, coagulando ad Est impulsi dinamici dell’espansione metropolitana, organizzava attrezzature fondamentali, tra cui il secondo Ateneo, entro un tessuto polifunzionale, metteva in moto un processo di ristrutturazione della periferia degradata e alienante. Soprattutto creava una nuova immagine di Roma, conferendo al suo paesaggio, un profilo coraggioso e moderno.
3. Convegno “I mali di Roma”
Segnando in modo profondo la diocesi Romana, ma anche le istituzioni della città di Roma, questo convegno del 1974 era scaturito da un’indagine del 1969 condotto sulla religiosità dei romani. Ne era infatti emerso che circa il 10% di questi aderivano a gruppi spontanei di base: un fenomeno tra l’altro presente in moltissime regioni italiane.
A Roma molti gruppi facevano riferimento a comunità o persone di particolare richiamo. Si pensi a Don Franzoni, della comunità a San Paolo fuori le mura, a Gerardo Lutte a Prato Rotondo, a Don Sardelli tra i baraccati dell’Acquedotto Felice, a Don Nicolino Barra che pubblica mensilmente un interessante ciclostilato “La Tenda”.
Nel 1972 Don Sardelli, aveva pubblicato “Lettere ai cristiani di Roma”, firmato da 13 preti in cui si accusava il mal governo della DC, la ricchezza fondiaria, soprattutto degli istituti religiosi e si auspicava una condanna delle speculazioni edilizie. Tutte problematiche, e spesso denunce, che si trovavano in alcuni saggi pubblicati in quegli anni da chi studiava le borgate, chi ne denunciava il sacco, chi parlava di una Roma Capitale che era diventata periferia. Inoltre nel 1971 il pretore Luciano Infelisi aveva portato avanti una vastissima inchiesta che approdò alla perquisizione di oltre 300 istituti religiosi, accusandoli di gestire l’assistenza a scopo di lucro. È in questo quadro e questo clima che si prepara il Convegno su “I mali di Roma” che, con indiscusso successo, mostrò un mondo cattolico pluralista e contraddittorio sulle analisi politiche, e di fatto delegittimò gli amministratori capitolini democristiani, quali rappresentanti dei cattolici e contribuì al ricambio politico.
4. Amministrazione Argan/Petroselli
Luigi Petroselli, unitamente a Giulio Carlo Argan, è stato uno fra i migliori sindaci di Roma del dopoguerra.
Entrambi avevano idee forti per la città e seppero trasmetterle a tutti.
Petroselli morì giovane “sul lavoro come un edile” e, pur avendo governato per pochi anni, è rimasto nel cuore dei romani.
Il risanamento delle borgate e l’abbattimento dei borghetti furono le sue imprese più grandi. Furono interventi decisi dalla precedente amministrazione Darida ma che, portati avanti e conclusi dalle giunte di sinistra, richiesero grandi investimenti per le opere di urbanizzazione e servizi: luce, acqua, fogne, strade e scuole, dagli asili nido alle scuole medie e superiori, agli impianti sportivi. Insomma si voleva unire il centro alle periferie e viceversa.
Nell’amministrazione Argan la cultura ha avuto un ruolo centrale e l’assessore Nicolini ne fu il protagonista, con le sue proposte e idee innovative. Nicolini sosteneva “l’idea di una cultura condivisa che rafforzasse nella popolazione emarginata in particolare delle borgate, il sentimento di appartenenza a un’unica città, era la condizione preliminare della sua idea di Roma”.