Roma Città Agricola: dall’analisi del foodscape alle proposte di intervento

Agricoltura sociale

Dagli economisti rurali Davide Marino, Giampiero Mazzocchi e Simona Tarrastudio su Roma Città Agricola come spunto di dibattito per RomAgricola

di Davide Marino, Giampiero Mazzocchi, Simona Tarra

1 – I caratteri dell’agricoltura romana.

Spesso si dice che Roma è il “più grande comune agricolo d’Europa” e in effetti in termini di superfici lo era sino alla separazione con Fiumicino. Ma cosa vuol dire comune agricolo? Al di là della estensione delle superfici quali sono i caratteri dell’agricoltura, o meglio delle agricolture, romane?

L’area metropolitana di Roma si trova nella zona centro-occidentale della penisola italiana, e conta una popolazione di circa 4,33 milioni di abitanti (dato Istat 2019) per un’estensione di 5.352 km.2. Nonostante sia in atto un processo di concentrazione della proprietà terriera l’agricoltura romana è ancora un settore imperniato su aziende di media, piccola e piccolissima scala. Secondo i dati ISTAT la superficie agricola totale (SAT) nel Comune di Roma è pari a 57.948 ettari, in aumento del 12,1% rispetto al precedente censimento del 2000, e ricopre circa la metà (il 45,1%) dei 128.530 ettari della superficie comunale. Le aziende agricole erano 2.656, con un trend in crescita (+43,8%) rispetto al 2000, e danno lavoro a 12.000 persone. Quasi tutte le terre sono di proprietà (meno di 250 aziende affittano il suolo a terzi) e la digitalizzazione non raggiunge il 20%.

Figura 1: Le tipologie territoriali e la copertura dei suoli nel Comune di Roma (Fonte: Corine Land Cover, 2006), scala 1:100.000.
Figura 1: Le tipologie territoriali e la copertura dei suoli nel Comune di Roma (Fonte: Corine Land Cover, 2006), scala 1:100.000.

Dato importante da non tralasciare sono i 124.500 ettari della Città metropolitana costituiti da aree protette. Queste comprendono 41 siti ed una rete “Natura 2000” (i siti designati dagli stati membri secondo le Direttive europee Habitat e Uccelli) composta da 54 Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e 13 Zone di Protezione Speciale (ZPS). La campagna e le colline romane sono ricchi di prodotti dell’agroalimentare di qualità. Tutta la regione Lazio è una terra ricca di eccellenze e vanta complessivamente 27 tra DOP (16) e IGP (11) e 13 di questi sono a Roma e provincia. L’agricoltura biologica nonostante la crescita recente non arriva al 5% del totale. In questo contesto, la bilancia commerciale registra un forte passivo: a fronte di un export che nel 2016 è stato pari a 24,6 milioni di euro (-4,1% sul 2015), il Comune ha importato 465,1 milioni di euro in prodotti agricoli (+28,3% rispetto al 2015). Inoltre, lo sviluppo delle reti alimentari locali a Roma è stato notevole: un po’ tutte le forme di filiere corte – dai mercati degli agricoltori, ai Gruppi di Acquisti Solidali (GAS) alle esperienze di box schemes – hanno fatto registrare un successo significativo. I numeri delle filiere corte nell’area romana (Marino, 2016/a) presentano proporzioni di primaria importanza nel quadro nazionale: il comune di Roma conta 33 farmers’ market e 55 GAS, mentre 744 sulle 2.656 aziende agricole (con un incremento del 40% nell’ultimo intervallo censuario) dell’area praticano la vendita diretta.

Nonostante questa vivacità, negli anni si è progressivamente persa l’integrazione con il mercato locale, e l’abbandono da parte delle istituzioni ha contribuito alla disgregazione del rapporto tra agricoltori e consumatori della città. Secondo l’ultimo censimento dei mercati rionali, effettuato nel 2015 dal Dipartimento Sviluppo economico, i mercati nella capitale sono 127, per un totale di oltre 5 mila esercenti, riconducibili a tre tipologie: 32 mercati coperti all’interno di un edificio con tetto; 36 mercati plateatici chioschi collocati in uno spazio recintato; 59 mercati su sede impropria su strada e senza recinzione.

Nonostante i mercati rionali rappresentino una fonte di approvvigionamento alimentare da parte della cittadinanza romana dal dopoguerra in poi, essi stanno attraversando un momento di crisi dovuto a una regolazione confusa e inefficiente e alla concorrenza della Grande Distribuzione Organizzata, dove avviene circa il 70% degli acquisti. Il rapporto “Magna Roma” (Terra! Onlus, 2018) ha individuato i principali punti di forza dei mercati rionali di Roma, che una politica strategica del cibo potrebbe accompagnare e valorizzare: l’ampiezza dell’offerta e la collocazione in punti strategici della città; la fidelizzazione dei consumatori; il coinvolgimento e l’apertura ai flussi turistici; la funzione aggregativa e di fruizione dello spazio pubblico; utilizzo di prodotti prevalentemente aziendali; importanza dei regolamenti per disciplinare l’accesso ai mercati dei soli produttori. Tra le motivazioni che sembrano avere un ruolo rilevante nello sviluppo dei Farmers’ Markets a Roma si trova la dimensione territoriale dello scambio. Infatti, sia i produttori che i consumatori, assegnano un significato particolare alla breve distanza che separa i luoghi di produzione da quelli di vendita, anche per la potenziale riduzione dell’impatto ambientale dei metodi di produzione e la conservazione del valore nutrizionale dei cibi venduti. Per questi motivi l’assemblea Capitolina ha approvato, nel 2018, il regolamento per i Farmers’ Market. Il provvedimento disciplina l’apertura e la gestione dei mercati agricoli della Capitale secondo criteri quali: l’origine dei prodotti, la tracciabilità, e l’impatto ambientale. Il regolamento prevede criteri di premialità agli agricoltori singoli o associati che presentino alcune caratteristiche; come ad esempio: filiera di prossimità, il possesso di titoli che certifichino la qualità dei prodotti e le proposte di organizzazione del mercato, anche in termini di servizi resi alla comunità.

Dall’indagine Zappata Romana sarebbero 218 le esperienze associative. Uno studio del CREA ha rilevato 3200 appezzamenti tra orti residenziali (l’85% del totale), condivisi, istituzionali e informali, numeri che  dimostrano come a Roma gli orti urbani rappresentano una realtà molto radicata nel territorio e un importante bacino di servizi ecosistemici ambientali, sociali, ricreativi e formativi. Il mondo che ruota attorno all’agricoltura urbana e agli orti urbani è divenuto uno degli esempi più innovativi e interessanti di governance dei beni comuni urbani a Roma. Tuttavia, al netto dei movimenti dal basso di rivendicazione delle istanze riconducibili all’ampio ventaglio di iniziative assimilabili alla democrazia alimentare (Lang, 2005; Hassanein, 2013), Roma è un caso evidente di come l’amministrazione, impegnata nella difficile gestione di una metropoli che presenta varie sfide su tutti i fronti, non sia ancora in grado di accompagnare una reale transizione del modello agro-alimentare.

 2 – La questione della terra

Nonostante la storica – e ancora sostanziale – presenza dell’agricoltura, Roma si trova di fronte all’esigenza di gestire un’espansione urbana che sta mettendo a rischio la capacità di vaste aree agricole di continuare a fornire alcuni servizi ambientali, sociali e alimentari, benefici e prodotti fondamentali per la resilienza di una metropoli di tali dimensioni. Il ritmo di artificializzazione dei suoli in atto nel Comune di Roma continua ad essere molto intenso: il Rapporto 2018 “Il consumo di suolo di Roma Capitale” mostra che il 23,54% (30.241 ettari) del territorio capitolino è coperto da superfici artificiali, mentre il 76,46% non risulta “consumato” (98.239 ettari). Purtroppo si può notare che a fronte di un incremento pressoché nullo della popolazione, il consumo di suolo risulta in crescita. Tuttavia, le iniziative di agricoltura urbana multifunzionale a finalità commerciale e imprenditoriale, che producono redditi privati ma riverberano le esternalità positive sulla collettività, rimangono una specificità del sistema agro-alimentare romano. Queste esperienze, nella loro coniugazione fra aspetti produttivi, sociali e ambientali, contribuiscono al benessere collettivo tramite i cosiddetti Servizi Ecosistemici (SE), ovvero quei benefici di produzione, di regolazione e culturali che gli ecosistemi forniscono all’uomo. In ambito urbano, nel quale la pressione abitativa mette a rischio il funzionamento degli stessi ecosistemi, le aree verdi – spesso agricole – contribuiscono a mantenere il flusso di SE necessari per il benessere della popolazione. Ad esempio, il mantenimento di aree verdi, auspicabilmente da destinare a fini ed utilizzi che massimizzino la fornitura di servizi ecosistemici come ad esempio i parchi agricoli, rappresenta per la città di Roma un contesto fertile e ad alta potenzialità per ricostruire il rapporto tra agricoltura e città, cittadini e agricoltori, spazi pubblici e privati contribuendo attivamente a migliorare la resilienza della città (Cavallo et al., 2015).  Da notare tuttavia che il consumo di suolo evidenziato in precedenza comporta un minore flusso di servizi ecosistemici e quindi di benessere per la popolazione: è stato calcolato che a Roma la perdita è stata di circa 35 milioni di euro (Marino, 2016/b).

Al tema del rapporto fra città e campagna contribuisce la presenza di terreni abbandonati – siano essi di proprietà privata o demaniale – e la contestuale crescente domanda di terre e alle richieste di accesso al settore agricolo, in particolare da parte di giovani agricoltori, Tuttavia, considerata l’ampia disponibilità di terreni agricoli, la risposta politica non è stata sinora adeguata. Nel 2014 il Comune di Roma ha promosso il programma “Roma, città da coltivare”. Il bando di assegnazione di terreni ed immobili rurali di proprietà di Roma capitale era finalizzato alla tutela e al recupero produttivo dell’agro romano, mediante sviluppo di aziende agricole multifunzionali. Un’iniziativa importante perché ha rappresentato la prima attuazione, da parte di un ente locale, delle disposizioni nazionali per l’assegnazione di terreni pubblici a giovani imprenditori agricoli. Inoltre, il bando premiava l’orientamento dei concorrenti verso l’agricoltura biologica e la multifunzionalità. Tuttavia, allo stato attuale i lavori per il rifacimento degli immobili rurali sono fermi e l’effettiva incidenza delle terre assegnabili sul totale delle terre disponibili è minima, se si considera che su poco più di 26 mila ettari di terre pubbliche, solamente un quarto è oggetto di assegnazione e ancora di meno sono le superfici per le quali sono stati approvati progetti agricoli multifunzionali.

3 – Le innovazioni dal basso

La particolare vivacità dei movimenti dal basso che contraddistingue Roma dal dopoguerra in poi, ha portato l’”Agro Romano” ad essere il terreno fertile per lo sviluppo di esperienze pionieristiche di agricoltura sociale. Nell’area della capitale oggi si contano 32 esperienze, cui vanno sommate altre 20 nell’area metropolitana. Gli utenti finali a livello regionale sono più di 1.740. Oltre alla storica Cooperativa Capodarco, molte delle aziende più note che operano nell’agricoltura urbana (Agricoltura Nuova, Il Trattore, Cobragor) promuovono attività dedicate a queste fasce sociali. Partendo da questo primo nucleo sono sorte successive azioni spontanee: da parte della società civile (rete di giardinieri urbani, movimenti contadini), come attività di soggetti del terzo settore (attività di formazione per nuovi agricoltori, rapporti sullo stato delle filiere agroalimentari), iniziative private (fattorie multifunzionali, associazioni che organizzano la gestione delle filiere alimentari corte), così come una serie di misure da parte della pubblica amministrazione (organizzazione di spazi per i mercati degli agricoltori, legge sulle filiere corte, progetti di assegnazione di terreni pubblici, Banca della terra). Tra le esperienze pionieristiche di agricoltura sociale a livello nazionale, ci sono diversi casi nati nel contesto dell’Agro Romano in concomitanza con i movimenti dal basso finalizzati al recupero dei terreni abbandonati. Ci si riferisce, ad esempio, all’esperienza della Comunità di Capodarco, ancora oggi un punto di riferimento nazionale ed europeo per la capacità di rigenerazione territoriale e umana che ha apportato. Tuttavia, le problematiche legate allo sviluppo dell’insediamento umano a bassa densità, all’abbandono di ampie aree in precedenza semi-naturali e alla conseguente perdita di funzioni ambientali stanno mettendo a rischio la capacità di fornire ai cittadini delle aree urbane quei servizi fondamentali per la buona qualità della vita all’interno della città. È per rispondere a queste tensioni che nel territorio romano è attivo, dal 2012, il Coordinamento Romano Accesso alla Terra. Questa esperienza, tramite la “Vertenza per la Salvaguardia dell’Agro Romano”, ha portato all’emanazione di due bandi di assegnazione delle terre pubbliche: “Terre ai Giovani”, promosso dalla Regione Lazio e il già citato “Roma città da coltivare” ad opera del Comune di Roma. Nonostante si tratti di progetti pilota che dovrebbero informare e guidare le prossime assegnazioni, si delinea un approccio integrato che considera il tema delle terre pubbliche come un passaggio necessario per riconsiderare il ruolo dell’agricoltura a livello regionale attraverso la valorizzazione della multifunzionalità e il rafforzamento delle relazioni fra città e campagna.  In questo contesto, non si possono non considerare le esperienze di economia solidale, che costituiscono alternative concrete e praticate per creare un’economia e una società orientate al benessere di tutti. Nel Lazio e a Roma è presente la Rete di Economia Sociale e Solidale (RESS) Roma e Lazio, che coinvolge i diversi GAS del territorio, quindi consumatori, produttori e fornitori, ma anche organizzazioni e associazioni che si occupano di economia solidale, così come singoli cittadini. La strategia proposta dalla RESS intende partire dalle realtà di economia solidale che già esistono per collegarle attraverso la tessitura di reti in cui circolano informazioni, valori, beni e servizi. Il cibo in questo senso ha un valore fondamentale, dal momento che è spesso occasione di organizzazione di incontri e scambi. Infatti, la RESS Roma organizza periodicamente incontri e attività, sia per parlare di modelli di piccola distribuzione organizzata solidale che sostengono attraverso una serie di ordini collettivi alcune realtà produttive che stanno praticando un altro modo di fare agricoltura, sia per scambiare informazioni e conoscenze sul tema del cibo e alimentazione. Durante la prima fase di restrizioni legate all’emergenza COVID-19, la RESS Roma è riuscita a coordinare una rete di produttori locali e di cittadini, facendo in modo che si creassero i “Gruppi di Acquisto Condominiali” al fine di distribuire, in maniera controllata, prodotti del territorio romano e laziale altrimenti non disponibili a causa della chiusura dei mercati rionali e dei Farmers’ Markets. Un’altra realtà che coinvolge diversi GAS è la RES Ciociaria, che mette insieme diversi gruppi di acquisto del Lazio per promuovere un consumo e produzione sostenibili e consapevoli. Si denota, pertanto, come le innovazioni e le nuove economie legate al cibo (nella sua multi-dimensionalità) che si sono generate e si stanno generando nel territorio romano condividano un’intensa attività partecipativa e uno sforzo comunitario per la loro implementazione e continuazione. Tuttavia, la percezione è che tali sforzi, nonostante siano positivi segnali di fermento, impegno e volontà civile che vanno in ogni modo salvaguardati e riconosciuti, non siano sufficienti a rispondere a quella domanda di cibo sano, di spazi verdi, di diete equilibrate che proviene sempre più forte dal mondo dei consumatori. Questi fenomeni possono essere inquadrati, infatti, come importanti nicchie di transizione in un contesto, tuttavia, dominato dalla grande distribuzione e da mercati globalizzati che, per rispondere alle logiche che li regolano, tendono a proporre prodotti standardizzati e senza alcun rapporto con il territorio, con il rischio di acuire la distanza simbolica, geografica e cognitiva fra consumatori e produttori e di disperdere culture, tradizioni e capitale sociale alimentari.

4 – Le prospettive: la necessità di una Politica del Cibo per Roma Capitale

Il panorama finora descritto ha fatto emergere, da un lato, la centralità dell’agricoltura per il sistema territoriale romano, la vivacità di alcuni movimenti (orti urbani, agricoltura sociale) e la rilevanza dell’interazione tra capitale culturale e naturale per Roma; dall’altro, le criticità connesse a uno sviluppo urbanistico che crea pressioni significative verso i terreni agricoli e le relative economie, e una mancata regolamentazione integrata e a lungo termine degli spazi, degli usi e dei mercati. Si è evidenziato come il foodscape dell’area romana sia particolarmente ricco di esperienze, di produzioni e di pratiche legate all’innovazione in campo agroalimentare. Tuttavia queste appaiono slegate fra loro, scarsamente interconnesse e soprattutto esposte ai rischi di un mercato agro-industriale che riduce gli spazi per i piccoli produttori e commercianti e indirizza le produzioni agricole verso sistemi impattanti per l’ambiente e per i lavoratori. Se ne può concludere è che a Roma, nonostante un vibrante dibattito intorno ai temi dell’alimentazione e dell’agricoltura, ci sia ampio margine di manovra per un processo che porti a un’istituzionalizzazione di una Politica del Cibo. Diversi i fattori che intervengono a sostegno di tale ipotesi:

  • Roma è caratterizzata da una varietà di esperienze legate al cibo sostenibile, che si inseriscono ognuna nell’ambito di una particolare fase della filiera alimentare. Tuttavia, a livello politico non esistono ancora una visione e una direzione strategica definita, con il rischio che tali iniziative perdano la capacità di avere una portata limitata in termini di transizione verso sistemi alimentari sostenibili;
  • si assiste ad un interessante mix di iniziative bottom-up e top-down: da un lato la rete degli orti urbani di Roma, le iniziative dei singoli (o gruppi di) agricoltori, spesso opinion leader nella disseminazione di determinate innovazioni; dall’altra progetti supportati dall’amministrazione come ad esempio il programma per la riduzione degli scarti alimentari o l’allocazione delle terre pubbliche;
  • la presenza di importanti istituzioni internazionali operanti nel settore dell’alimentazione e dello sviluppo rurale (FAO, World Food Programme, IFAD etc.), che rendono il terreno fertile per l’apertura di un discorso su una Food Policy a Roma.
  • la città di Roma è firmataria del primo Patto internazionale sulla Politiche Alimentari sostenibili a livello comunale, il Patto per la Politica Urbana di Milano. Il patto, firmato ad oggi da 209 città nel mondo, propone un sistema alimentare sostenibile, inclusivo, resiliente e sicuro; per garantire l’accesso a tutti ad un cibo sano, salvaguardare la biodiversità e ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici.

Su questa base il 16 ottobre del 2019 è stato presentato ufficialmente il Documento “Una food Policy per Roma. Perché alla Capitale d’Italia serve una politica del Cibo”, messo a punto attraverso un lungo processo partecipativo che, stimolato da un gruppo di accademici dell’Università del Molise e dell’Università Roma Tre,  ha coinvolto fino ad ora un largo numero di stakeholder, di ricercatori indipendenti, giornalisti e attivisti nel mondo dell’associazionismo, il gruppo conta oggi 116 contatti[1] tra i quali i rappresentanti di: movimenti associativi legati agli orti urbani, aziende agricole multifunzionali, fondazioni e organizzazioni attive sui temi ambientali e dell’alimentare, organizzazioni professionali agricole, enti di ricerca, associazioni e reti di economia sociale e solidale, operatori privati attivi nelle varie fasi della filiera alimentare, cittadini interessati.

Bibliografia

  • Cavallo A., Di Donato B., Guadagno R., Marino D. (2014). The agriculture in Mediterranean urban phenomenon: Rome foodscapes as an infrastructure, in Proceedings of 6th Aesop Sustainable Food Planning conference Leeuwarden, Netherlands, 5 -7 novembre 2014 (ISBN 978-90-822451-2-7)
  • Hassanein, N. (2003). Practicing food democracy: a pragmatic politics of transformation, Journal of Rural Studies, 19(1), 77–86.
  • Lang T. (2005). Food control or food democracy? Re-engaging nutrition with society and the environment. Public Health Nutrition: 8(6A), 730–737. Doi: 10.1079/PHN2005772
  • Davide Marino (a cura di) (2016/a). Agricoltura urbana e filiere corte. Un quadro della realtà italiana. Milano: FrancoAngeli, ISBN: 978-88-917-4378-7,
  • Marino D. (2016/b). Consumo di suolo e servizi ecosistemici: la sfida del periurbano. URBANISTICA INFORMAZIONI, ISSN: 0392-5005.
  • Mazzocchi G, Marino D. Rome, a Policy without Politics: The Participatory Process for a Metropolitan Scale Food Policy. Int J Environ Res Public Health. 2020;17(2):479. Published 2020 Jan 11. doi:10.3390/ijerph17020479
  • Roma Capitale – Dipartimento Trasformazione Digitale, ISPRA (2018). Il consumo di suolo di Roma Capitale. Analisi della copertura di suolo e delle aree di pericolosità idraulica nel territorio di Roma Capitale.
  • Roma Capitale – Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 10 del 13 marzo 2018, “Regolamento dei mercati riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli”
  • Roma Capitale – Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 38 del 17 luglio 2015 “Regolamento per l’affidamento in comodato d’uso e per la gestione di aree a verde di proprietà di Roma Capitale compatibili con la destinazione a orti/giardini urbani”
  • Terra! Onlus (2018). Magna Roma: perché nel comune agricolo più grande d’Italia i mercati rionali stanno morendo. Link: http://www.terraonlus.it/wpcontent/uploads/2018/12/Magna-Roma_web.pdf.
  • Terra! Onlus, Lands Onlus (2019). “Una Food Policy per Roma. Perché alla Capitale d’Italia serve una Politica delCibo.”Link: https://www.politichelocalicibo.it/wp-content/uploads/2019/10/Una-Food-Policy-perRoma.pdf

 

[1] Rilevazione effettuata il 21 settembre 2019